Anche se abbiamo già parlato del simbolismo del ponte in varie occasioni, aggiungeremo qualche altra considerazione, relativamente a uno studio su questo argomento [The Perilous Bridge of Welfare, in “Harvard journal of Asiatic Studies”, agosto 1944] di Dona Luisa Coomaraswamy, studio nel quale ella insiste particolarmente su un punto che mostra lo stretto rapporto di tale simbolismo con la dottrina del “sutratma”. Si tratta del senso originario della parola “setu”, che è il più antico tra i vari termini sanscriti che designano il ponte, e il solo che si trovi nel Rig‑Veda: questa parola, derivata dalla radice “si», «attaccare», indica propriamente un «legame»; e infatti il ponte gettato su un fiume è proprio ciò che lega una riva all'altra; ma, a parte questa osservazione di ordine generale, è implicito in tale termine qualcosa di molto più preciso. Bisogna rappresentarsi il ponte come formato, originariamente, da alcune funi, che ne costituiscono il più ortodosso modello naturale, o da una corda fissata nello stesso modo di quelle, per esempio ad alberi che crescono sulle due rive, le quali sembrano così effettivamente «attaccate” l'una all'altra da questa corda. Le due rive rappresentano simbolicamente due diversi stati dell'essere ed è evidente che qui la corda equivale al «filo» che unisce tali stati fra di loro, cioè al «sutratma» stesso; il carattere di un simile legame, al tempo stesso sottile e resistente, è anche un'immagine adeguata della sua natura spirituale; e per questo il ponte, assimilato anche a un raggio di luce, è spesso tradizionalmente descritto sottile come il filo di una spada, o altrimenti, se è fatto di legno, appare formato da una sola trave o da un solo tronco d'albero [Ricordiamo in proposito il duplice senso della parola inglese “beam”, che designa sia una trave sia un raggio luminoso, come abbiamo già fatto notare altrove (Maçons et Charpentiers, in «Etudes Traditionnelles», dicembre 1946)]. Questa sottigliezza mette pure in risalto il carattere «periglioso” della via di cui parliamo, che d'altronde è la sola possibile, ma che non tutti riescono a percorrere, anzi che pochissimi sono in grado di percorrere senza aiuto e con i propri mezzi soltanto [È un privilegio solo degli «eroi solari” nei miti e nei racconti in cui figura il passaggio del ponte], perché c'è sempre un certo pericolo nel passare da uno stato a un altro; ma questo si riferisce specialmente al duplice senso, «benefico” e «malefico», che presenta il ponte, alla stregua di tanti altri simboli, e sul quale torneremo fra poco.
I due mondi rappresentati dalle due rive sono, nel senso più generale, il cielo e la terra, che erano uniti in principio e furono separati per il fatto stesso della manifestazione, il cui intero ambito è allora assimilato a un fiume o a un mare che si estende fra di essi [In ogni applicazione più ristretta dello stesso simbolismo, si tratterà sempre di due stati che, a un certo «livello di riferimento», saranno in un vicendevole rapporto corrispondente a quello fra il cielo e la terra]. Il ponte equivale quindi esattamente al pilastro assiale che lega il cielo e la terra pur mantenendoli separati; e proprio in virtù di questo significato esso deve essere concepito essenzialmente come verticale [A tale riguardo, e in relazione con quanto si è appena detto, ricorderemo il «numero della corda” che è stato così spesso descritto, nel quale una corda lanciata in aria rimane o sembra rimanere verticale mentre un uomo o un ragazzo vi si arrampica sino a sparire alla vista; anche se si tratta solo, almeno di solito, di un fenomeno di suggestione, poco importa dal punto di vista in cui noi ci poniamo, e si tratta comunque, esattamente come la salita lungo un palo, di una figurazione estremamente significativa del nostro tema], al pari di tutti gli altri simboli dell’»Asse del Mondo», per esempio l'assale del «carro cosmico» quando le sue due ruote rappresentano ugualmente il cielo e la terra [La signora Coomaraswamy fa notare che, se ci sono casi in cui il ponte è descritto a forma di arco, il che lo identifica più o meno esplicitamente con l'arcobaleno, tali casi sono in realtà ben lungi dall'essere i più frequenti nel simbolismo tradizionale. Aggiungeremo che del resto ciò non si trova necessariamente in contraddizione con la concezione verticale del ponte, poiché, come abbiamo detto a proposito della «catena dei mondi», una linea curva di lunghezza indefinita può essere assimilata, in ciascuna sua porzione, a una retta che sarà sempre “verticale» nel senso che sarà perpendicolare all'ambito di esistenza che attraversa; per di più, anche dove non ci sia identificazione fra il ponte e l'arcobaleno, quest'ultimo è nondimeno considerato, nel suo significato più generale, come un simbolo dell'unione fra cielo e terra]; questo stabilisce pure l'identità fondamentale del simbolismo del ponte con quello della scala, di cui abbiamo parlato in altra occasione [Le symbolisme de l’échelle (qui sopra, come cap. 54)]. Così, il passaggio del ponte non è in definitiva altro che il percorso dell'asse, che solo infatti unisce i vari stati fra di loro; la riva da cui parte è, di fatto, questo mondo, cioè lo stato in cui l'essere che lo deve percorrere si trova in quel momento, mentre la riva a cui giunge dopo avere attraversato gli altri stati della manifestazione è il mondo principiale; una delle due rive è la regione della morte, in cui tutto è sottoposto al cambiamento, e l'altra è quella dell'immortalità [È evidente che nel simbolismo generale del passaggio delle acque che deve condurre «dalla morte all'immortalità» la traversata per mezzo di un ponte o di un guado corrisponde solo al caso in cui il passaggio viene effettuato andando da una riva all'altra, con l'esclusione di quelli in cui è descritto come la risalita di una corrente verso la sorgente, oppure come la sua discesa verso il mare, e nei quali il viaggio deve necessariamente compiersi con altri mezzi, per esempio in conformità al simbolismo della navigazione, che d'altronde è applicabile a tutti i casi (si veda Le Passage des eaux (qui sopra, come cap. 56))].
Ricordavamo poco fa che l'asse lega e separa a un tempo il cielo e la terra; parimenti, se il ponte è realmente la via che unisce le due rive e permette di passare dall'una all'altra, può comunque costituire anche, in un certo senso, un ostacolo posto fra di esse, e questo ci riconduce al suo carattere «periglioso». La cosa è d'altronde implicita anche nel significato della parola “setu”, che è un legame nella duplice accezione in cui lo si può intendere: da una parte, ciò che unisce due cose fra di loro, ma anche, dall'altra, un impaccio nel quale un essere si trova preso; una corda può servire ugualmente a due fini, e anche il ponte apparirà sotto l'uno o l'altro aspetto, cioè sarà in definitiva «benefico» o «malefico», a seconda che l'essere riesca o meno a superarlo. Si può osservare che il duplice significato simbolico del ponte risulta anche dal fatto che questo può essere percorso nelle due direzioni opposte, mentre dev'esserlo tuttavia soltanto in una, quella che va da «questa riva» verso «l’altra», poiché ogni ritorno sui propri passi costituisce un pericolo da evitare [Donde le allusioni che assai di frequente si trovano nei miti e nelle leggende di qualsiasi provenienza al pericolo di voltarsi durante il cammino e di «guardare indietro»], salvo nell'unico caso dell'essere che, già liberato dall'esistenza condizionata, può ormai «muoversi a suo piacere” attraverso tutti i mondi. e per il quale del resto tale ritorno non è altro che un'apparenza puramente illusoria. In tutti gli altri casi, la parte del ponte già percorsa deve normalmente essere «perduta di vista» e divenire come se non esistesse più, allo stesso modo in cui la scala simbolica è sempre considerata con la base nell'ambito in cui attualmente si trova l'essere che vi sale, e la sua parte inferiore scompare per lui a mano a mano che si effettua l'ascesa [Si verifica quasi un «riassorbimento» dell'asse da parte dell'essere che lo percorre, come abbiamo già spiegato ne «La Grande Triade», cui rimanderemo anche per qualche altro punto a ciò connesso, in particolare per quel che concerne l'identificazione di quest'essere con l'asse stesso, quale che sia il simbolo dal quale esso è rappresentato, e di conseguenza anche con il ponte, il che fornisce il vero senso della funzione «pontificale», e a ciò assai chiaramente allude, in mezzo ad altre formule tradizionali, questa frase del Mabinogion celtico citato come epigrafe dalla signora Coomaraswamy: «Colui che vuol essere Capo, deve essere il Ponte»]. Finché l'essere non e giunto al mondo principiale, da cui potrà in seguito ridiscendere nella manifestazione senza esserne minimamente toccato, la realizzazione può compiersi in effetti solo nel senso ascendente; e, per colui che si attaccasse alla via per se stessa, prendendo così il mezzo per il fine, tale via diverrebbe veramente un ostacolo invece di condurlo effettivamente alla liberazione, il che implica una continua distruzione dei legami che lo uniscono agli stadi già percorsi, fino al momento in cui l'asse sia ridotto alla fine al punto unico che contiene tutto ed è il centro dell'essere totale.
Guenon, Simboli della scienza sacra
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