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sabato 24 dicembre 2011

I fiori simbolici




L'uso dei fiori nel simbolismo è, come si sa, molto diffuso e si ritrova nella maggior parte delle tradizioni; è anche molto complesso, ed è nostra intenzione indicare qui solo alcuni dei suoi significati più generali. È evidente infatti che, a seconda che sia preso come simbolo questo o quel fiore, il senso deve variare, almeno nelle sue modalità secondarie, e parimenti che, come avviene in genere nel simbolismo, ogni fiore può avere in se stesso una pluralità di significati, legati per altro tra di loro da certe corrispondenze.

Uno dei significati principali è quello che si riferisce al prin­cipio femminile o passivo della manifestazione, cioè a Prakriti, la sostanza universale; e, a tale riguardo, il fiore equivale a un certo numero di altri simboli, fra i quali uno dei più importanti è la coppa. Come quest'ultima, infatti, il fiore evoca con la sua stessa forma l'idea di un «ricettacolo» ciò che di fatto è Prakriti in rapporto alle influenze emanate da Purusha, e anche nel lin­guaggio corrente si parla del «calice» di un fiore. D'altra parte, lo sbocciare di questo fiore rappresenta al tempo stesso lo sviluppo della manifestazione, considerata come produzione di Prakriti; e questo duplice senso è particolarmente chiaro nel caso del loto, che è in Oriente il fiore simbolico per eccellenza, il cui carat­tere specifico è di sbocciare sulla superficie delle acque; que­st'ultima, come abbiamo spiegato altrove, rappresenta sempre l'ambito di un certo stato di manifestazione, o il piano di rifles­sione del «Raggio celeste» che esprime l'influenza esercitata da Purusha su quest'ambito per realizzare le possibilità che vi sono potenzialmente contenute, avvolte nell'indifferenziazione primor­diale di Prakriti [Si veda «Le Symbolisme de la Croix», cap. xxiv].

L'accostamento con la coppa, che abbiamo ora indicato, deve naturalmente far pensare al simbolismo del Graal nelle tradizioni occidentali; ed è appunto il caso di fare, a questo proposito, un'osservazione assai degna d'interesse. Si sa che, tra i vari altri oggetti che la leggenda associa al Graal, figura in particolare una lancia che, nell'adattamento cristiano, non è altro che la lancia del centurione Longino, dalla quale fu aperta nel fianco di Cristo la ferita donde sgorgarono il sangue e l'acqua raccolti da Giu­seppe d'Arimatea nella coppa della Cena; ma è altrettanto vero che questa lancia o qualche suo equivalente esisteva già, come simbolo in qualche modo complementare alla coppa, nelle tradizioni anteriori al cristianesimo [Cfr. «Le Roi du Monde”, cap. v. Si potrebbero riportare, tra i diversi casi in cui la lancia è usata come simbolo, alcune curiose somiglianze che giungono fino a certi particolari: così, presso i Greci, si riteneva che la lancia di Achille guarisse le ferite che causava; la leggenda medioevale attribuisce la stessa virtù alla lancia della Passione]. La lancia, quando è posta ver­ticalmente, è una delle figure dell’“Asse del Mondo», che s'iden­tifica con il «Raggio celeste» di cui parlavamo un momento fa; e si possono anche richiamare, a tale proposito, le frequenti assimi­lazioni del raggio solare ad armi come la lancia o la freccia, sulle quali non è il caso di insistere ulteriormente. Da un altro lato, in alcune rappresentazioni, gocce di sangue cadono dalla lancia stessa nella coppa; ora queste gocce di sangue non sono qui nient'altro, nel loro significato principiale, che l'immagine delle influenze emanate da Purusha, il che evoca d'altronde il simbo­lismo vedico del sacrificio di Purusha all'origine della manife­stazione [Si potrebbe anche, sotto certi aspetti, far qui un accostamento con il conosciutissimo simbolismo del pellicano]; e questo ci ricondurrà direttamente alla questione del simbolismo floreale, da cui con tali considerazioni ci siamo allon­tanati solo in apparenza.

Nel mito di Adone (il cui nome, del resto, significa «il Si­gnore»), quando l'eroe è colpito a morte dal grifo di un cin­ghiale, che svolge qui la stessa funzione della lancia, il suo sangue, spandendosi per terra, fa nascere un fiore; e sarebbe senza dubbio abbastanza facile trovare altri esempi analoghi. Ciò si ritrova pure nel simbolismo cristiano: è così che Charbonneau‑Lassay ha se­gnalato «un ferro da ostie del secolo XII, in cui si vede il sangue delle piaghe del Crocifisso cadere in goccioline che si trasformano in rose, e la vetrata del secolo XIII della cattedrale di Angers ove il sangue divino, che scorre in ruscelli, sboccia ancora sotto forma di rose» [«Regnabit», gennaio 1925. Segnaliamo anche, in riferimento a un simbolismo affine, la raffigurazione delle cinque piaghe di Cristo con cinque rose, una posta al centro della croce e le altre quattro tra i suoi bracci, insieme che costituisce anche uno dei principali simboli rosacrociani]. La rosa è in Occidente, con il giglio, uno dei più consueti equivalenti di ciò che è il loto in Oriente; qui sem­bra d'altronde che il simbolismo del fiore sia riferito unicamente alla produzione della manifestazione [Deve restare ben inteso, perché questa interpretazione non possa dar luogo ad alcuna obiezione, che vi è una relazione strettissima fra «Creazione» e «Reden­zione», che non sono altro che due aspetti dell'operazione del Verbo divino], e che Prakriti sia rappre­sentata piuttosto dallo stesso suolo vivificato dal sangue; ma vi sono anche dei casi in cui sembra che le cose stiano altrimenti. Nello stesso articolo che abbiamo appena citato, Charbonneau-­Lassay riproduce un disegno ricamato su una cartagloria dell'ab­bazia di Fontevrault, che risale alla prima metà del secolo XVI ed è conservata oggi nel museo di Napoli, in cui si vede la rosa posta ai piedi di una lancia eretta verticalmente, lungo la quale piovono gocce di sangue. La rosa vi appare associata alla lancia esattamente come lo è altrove la coppa, e sembra proprio rac­cogliere delle gocce di sangue piuttosto che provenire dalla tra­sformazione di una di esse; è evidente del resto che i due signi­ficati non si oppongono per nulla, ma piuttosto si completano giacché queste gocce, cadendo sulla rosa, la vivificano e la fanno sbocciare; e va da sé che questa funzione simbolica del sangue ha, in tutti i casi, la sua ragione nel rapporto diretto di quest'ultimo con il principio vitale, qui trasposto nell'ordine cosmi­co. La pioggia di sangue equivale anche alla «rugiada celeste» che, secondo la dottrina cabalistica, emana dall’“Albero della Vita», altra figura dell’“Asse del Mondo», e quindi l'influenza vivificante è collegata principalmente alle idee di rigenerazione e di resurrezione, manifestamente connesse all'idea cristiana del­la Redenzione; e questa stessa rugiada svolge pure un ruolo im­portante nel simbolismo alchimistico e rosacrociano [Cfr. «Le Roi du Monde», cap. in. La somiglianza che esiste fra il nome della rugiada (ros) e quello della rosa (rosa) non può del resto passare inosservata a coloro che sanno quanto sia frequente l'uso di un certo simbolismo fonetico]

Quando si considera che il fiore rappresenta lo sviluppo della manifestazione, vi è equivalenza fra esso e altri simboli, tra i quali bisogna annoverare specialmente quello della ruota, che s'incontra quasi dappertutto, con un numero di raggi variabile a seconda delle raffigurazioni, ma che ha sempre di per sé un valore simbolico particolare. I tipi più consueti sono le ruote a sei e a otto raggi; la «rotella» celtica, che si è perpetuata attraverso quasi tutto il Medioevo occidentale, si presenta sotto l'una o l'al­tra di queste forme; le medesime figure, e soprattutto la seconda, si ritrovano spessissimo nei paesi orientali, in particolare in Caldea e in Assiria, in India e nel Tibet. Ora la ruota è sempre, anzitutto, un simbolo del Mondo; nel linguaggio simbolico della tradizione indù, si parla costantemente della «ruota delle cose» o della «ruota della vita», il che corrisponde chiaramente a tale significato; e non meno frequenti nella tradizione estremo‑orien­tale sono le allusioni alla «ruota cosmica». Ciò è sufficiente a stabilire la stretta parentela di queste figure con i fiori simbolici, il cui sbocciare è d'altronde allo stesso modo un irradiamento intorno al centro, poiché anch'essi sono delle figure «centrate»; e si sa che, nella tradizione indù, il Mondo è talvolta rappresen­tato sotto forma di un loto al centro del quale sorge il Meru, la “montagna polare». Vi sono d'altronde delle corrispondenze ma­nifeste, che rinforzano ulteriormente tale equivalenza tra il numero dei petali di questi fiori e quello dei raggi della ruota; così, il giglio ha sei petali, e il loto, nelle rappresentazioni del tipo più comune, ne ha otto, in modo che essi corrispondono rispettivamente alle ruote a sei e a otto raggi di cui abbiamo appena parlato [Abbiamo notato, come esempio chiarissimo di una simile equivalenza nel Medioevo, la ruota a otto raggi e un fiore a otto petali raffigurati l'una di fronte all'altro su una stessa pietra scolpita, incastrata nella facciata dell'antica chiesa Saint‑Mexme di Chinon, risalente con ogni probabilità all'epoca carolingia. La ruota si trova d'altronde spessissimo raffigurata sulle chiese romaniche, e lo stesso rosone gotico, assimilato dal suo nome ai simboli floreali, sembra proprio esserne derivato, così che esso si ricollegherebbe, per una ininterrotta filiazione, all'antica «rotella» celtica]. In quanto alla rosa, essa viene raffigurata con un numero variabile di petali; ci limiteremo a far notare a que­sto proposito che in genere i numeri cinque e sei si riferiscono rispettivamente al «microcosmo» e al «macrocosmo»; inoltre, nel simbolismo alchimistico, la rosa a cinque petali, posta al centro della croce che rappresenta i quattro elementi, è anche, come abbiamo già segnalato in un altro studio, il simbolo della «quintessenza», la quale svolge d'altra parte, relativamente alla manifestazione corporea, un ruolo analogo a quello di Prakriti [“La Théorie hindoue des cinq éléments”]. Infine, menzioneremo ancora la parentela dei fiori a sei petali e della ruota a sei raggi con certi altri simboli non meno diffusi, come quello del «monogramma di Cristo», sui quali ci propo­niamo di tornare in altra occasione [Charbonneau‑Lassay ha segnalato l'associazione della rosa stessa con il mono­gramma di Cristo (“Regnabit», numero del marzo 1926) in una figura di questo genere che egli ha riprodotto da un mattone merovingio: la rosa centrale ha sei petali, orientati secondo i bracci del monogramma; inoltre, questo è chiuso in un cerchio, il che ne fa apparire nel modo più chiaro l'identità con la ruota a sei raggi]. Per questa volta, ci basterà aver mostrato le due analogie più importanti dei simboli floreali, con la coppa in quanto si riferiscono a Prakriti, e con la ruota in quanto si riferiscono alla manifestazione cosmica; il rapporto di questi due significati è d'altronde, in definitiva, un rapporto da principio a conseguenza, poiché Prakriti è la radice stessa di ogni manifestazione.

Guenon, Simboli della scienza sacra

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